Denunciare un proprio paziente e tradire, per dovere civico e per coscienza, il codice deontologico, non è una colpa.
A Palermo uno psichiatra ha denunciato un suo paziente, che si è confidato con lui di aver abusato delle bambine, sue nipoti.
Lo specialista ha preferito fare il suo dovere come uomo e come cittadino, prima che come medico curante.
Gli psichiatri conoscono bene il danno che provoca le violenze sui minori: tanti casi di follia, pare, hanno origine proprio da questi abusi.
Depressioni, suicidi, psicosi, ma pure la predisposizione, in certi casi, all'alcolismo e alla tossicodipendenza pare provengano, almeno in parte, da questi terribili soprusi sull'infanzia, che si protraggono per tutta la vita.
La confessione era stata scritta da un ragazzo di 23 anni: aveva ammesso di aver abusato e molestato nipotine di tre, di sei, di sette e otto anni.
Era la situazione tipica di una famiglia normale, che non si accorge, perché non riesce a vedere, i comportamenti insani di un loro membro: è la solita convinzione che il marcio è sempre fuori di casa.
Non ci sono ciechi peggiori dei parenti stretti.
La necessità di vedere un ammalato come un caso da tenere sotto controllo, da studiare, da catalogare per la letteratura medica, freddamente, professionalmente, è una necessità, specialmente per uno psichiatra.
In questa situazione l'obbligo di impedire il ripetersi di un reato odioso ha spinto il medico ad agire di conseguenza, ma c'è pure un dubbio.
Altri pedofili si potrebbero confidare in futuro?
Arduino Rossi