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Dopo il processo doping alla Juventus è sempre più necessaria una campagna di sensibilizzazione, nel ricordo della vicenda di Marco Pantani.

È passato più di un anno dalla conclusione del processo che ha avuto come protagonista una delle squadre di calcio più amate d’Italia, la Juventus.

La squadra bianconera è stata accusata di aver fatto uso di doping, ovvero di farmaci illeciti che alterano le prestazioni degli atleti. Dopo varie udienze la società torinese è stata assolta, ma il suo medico sociale è stato condannato ad un anno e dieci mesi di reclusione.
Questa vicenda va considerata alla luce dell’ ormai evidente rapporto che sport e doping intrattengono. La sentenza è un precedente significativo, è il primo processo doping giunto a conclusione, riguardante il nostro amato mondo del calcio.

Da questo verdetto bisognerebbe partire per una massiccia campagna per debellare il doping e tutelare lo sport pulito e i suoi valori. E soprattutto per salvaguardare quei milioni di praticanti che finiscono nella sua morsa, illusi dalla vittoria facile. Per evitare le conseguenze devastanti che tali sostanze possono avere sulla loro salute.

Non solo il calcio è chiamato a rialzare la testa, ma i valori più profondi dello sport devono essere rispolverati per non concedergli di cadere nel dimenticatoio o peggio ancora per essere usati come finti ideali, tali da giustificare l’ uso del doping. Forse come quei fasulli valori che negli anni più luminosi della carriera di un campione amato come Marco Pantani hanno portato il ciclista romagnolo all’ uso anche di cocaina.

Chissà quale visione di una vita di un successo tanto glorioso quanto facile da raggiungere debbano aver raccontato a Pantani. Chissà a quante bugie ha creduto il povero Marco. Massacrato dalla sfortuna voleva ritornare il campione che era stato, e per uscire dall’ orbita della malasorte non ebbe miglior consiglio se non quello di usare certe sostanze.

A testimonianza di come anche un campione affermato, se mal consigliato e mal assistito può commettere certi errori. Certo, Marco ha saputo sbagliare da solo, ma il suo carattere fragile ed emotivo dovevano suonare come un campanello d’ allarme nelle orecchie di chi gli stava vicino, e forse non ha fatto tutto per aiutarlo a uscire dal tunnel.
Da quel tunnel che poi ha condotto Pantani alla morte non più di un anno fa, quando ha deciso di togliersi la vita. E’ morto solo, come solo è stato lasciato nei momenti più difficili.
La morte di Marco deve aiutare gli addetti ai lavori del mondo dello sport a capire quanto siano importanti le campagne di sensibilizzazione contro il doping.
Campagne dirette ai giovani, ai giovanissimi, a uomini e donne, a professionisti e dilettanti, a calciatori e ciclisti, a cestisti e tennisti, praticamente a tutti, senza nessuna distinzione.

Perché il doping quando sceglie le sue vittime non fa distinzione. Perché non vogliamo più ritrovarci in tristi resoconti di vicende come quelle di Marco Pantani.

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