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Giuseppe Dore

 

 

 

 

 

 

 

 

Credo che tutti i giornali regionali, i tantissimi giornalisti, i direttori responsabili delle più importanti testate giornalistiche, le televisioni locali e quelle nazionali, i blogger di provincia quali siamo noi, ed altri ben noti “laboratori di idee” che hanno il naso trinaricciuto e la sempiterna verità in tasca, vorrebbero intervistare Giuseppe Dore.

Non tanto per parlar male del “superpentito manesco e violento” (per sua stessa ammissione ed autodenuncia) ma per sentire le tesi dello specialista ittirese, la sua posizione, i suoi convincimenti sull'accusa più grave, che non è quella sciocchezzuola riferita alla truffa e alla presunta associazione a delinquere. No, mi riferisco invece a quell'accusa più infamante e vergonosa, sotto il profilo professionale etico e morale che riguarda, a mio modestissimo parere, il dubbio ingenerato nelle masse legato al sospetto sulla effettiva efficacia del “Metodo Dore”. Un dubbio, probabilmente spalmato ad arte, e che avremo modo di verificare nei prossimi mesi la loro veridicità ed attendibilità, che pone in discussione tutta la teoria elaborata da Giuseppe Dore che ha, stando alle testimonianze di chi ha goduto dell'applicazione pratica di questa teoria, se non guarito, migliorato e di molto le condizioni psico-fisiche dei propri cari familiari malati di varie tipologie di demenze tra le quali anche l'Alzheimer. Quel dubbio, quel tarlo di inefficacia, probabilmente studiato a “tavolino” con lo scopo di rovinare una brillantissima carriera medica ormai alle porte, sostenuto da un certo tipo e modo di fare giornalismo, tutto di stampo casareccio, azz'è ozzu, come diciamo noi, “coghina e lettu”. Un giornalismo al servizio di una parte politica fortemente in crisi e bisognosa di rialzarsi, che ha fatto da cassa di risonanza e di puro velinismo alle tesi sino ad oggi sostenute, e che aveva lo scopo di raggiungere, riuscendovi oltrettutto in pieno, l' obiettivo di inculcare nella mente delle masse il teorema sempre utile del “Santone”. Di quello che volontariamente fa il gioco delle “tre carte”, e che vuole spacciare per verità un assoluto falso chiamato, in questo caso specifico, “Psiconeuroanalisi”.

Crediamo di essere gli unici, nel panorama dell' informazione e della divulgazione a larghissimo raggio, con una ampia apertura mentale e organizzativa, ad accogliere tutte le posizioni contrastanti presenti su questo ipotetico “tavolo morale di gioco”. Abbiamo notato che alcuni, con commenti e interventi disarticolati, cercano di inquinare la genuinità delle testimonianze sin qui prodotte e presentate. Siamo convinti che sia utile, per tutti noi e soprattutto per voi che ci leggete, farvi conoscere il pensiero del dott. Giuseppe Dore. Del come ha inteso curare le persone affette, colpite, ferite e martirizzate dalle varie demenze, patologia maledetta che affligge un gran numero di nostri connazionali e che è destinata ad aumentare paurosamente nei prossimi anni, che hanno letteralmente messo in ginocchio tantissime famiglie. Abbiamo quindi ipotizzato di aver intervistato il Dott. Dore. Tutto quello che leggerete, comprese le risposte, sono rispondenti alla realtà dei fatti e degli accadimenti. Solo la raccontazione degli ambienti, dell' abbigliamento, del clima e delle domande sono di nostra esclusiva proprietà intellettuale (totalmente inventate). A vederlo sembra un giovanotto. E' allegro, sorridente, contento del suo stato di salute e di “prigioniero” casalingo. Beh, del resto, finalmente, può dedicare tutto il suo tempo interamente alla famiglia. Indossa una canotta leggera, rigorosamente nera che lascia spazio ad un corpo scultoreo, braccia robuste, spalle ben tornite e la classica “tartaruga”che spinge all' esterno le pieghe della canotta forse troppo stretta. Gli stivali, anch'essi neri, con una punta accuminatissima sono arricchiti sui fianchi e sui tacchi, da vistosissime applicazioni in acciaio inox, luminescente, confermano i sospetti della famosa cronista d' assalto, l' Elena, che lo definì, forse a ragione, “il medico con gli stivali” ! Siamo all' interno di una vastissima cantina piena zeppa di montagne di libri e, appena in lontananza, sul fondo di questo seminterrato “all' ittirese”, delle cataste ordinate su pallet lindi pieni di libri, migliaia e migliaia di libri dal titolo “La Grande Rinascita della Neuropsichiatria – La fine della demenza di Alzheimer - Dalla Psiconeuroanalisi della famigerata e inquietante Demenza alla mente senziente come sorgente cerebrale”. Ci sediamo al centro di questo seminterrato attorno ad un tavolo in legno, “sa mesa”, dove veniva impastata, dalla nonna materna, la farina e l' acqua per ottenere il pane caratteristico di ittiri“. Siamo da soli.

Domanda: La cronista della Nuova in un recente articolo ha richiamato una regola fondamentale che è dato dal cosiddetto “Linguaggio delle Prove” citando la definizione di due docenti, Cattaneo, tra i massimi esperti di malattie neurodegenerative, e Corbellini, storico della medicina. Cosa si sente di dire.

Risposta: Come già annunciato dal sottoscritto nella precedente pubblicazione del dicembre dello scorso anno, dal 2008 ai tempi attuali è stata svolta una peculiare ricerca nell’ambito delle demenze, ed in particolare sulla notoria malattia di Alzheimer, dove sono state conseguite salienti e radicali evidenze di ripresa dello stato di salute dei pazienti coinvolti, sia sotto l’aspetto clinico-funzionale che psicometrico sia di neuro-immagine, ecc. Ciò ha suggerito con forza un rivoluzionario cambiamento di concezione ed un concreto superamento a tutto tondo, della oramai pregressa visione “necrofila” che la scienza medica ha preterintenzionalmente fomentato negli ultimi tempi nei riguardi delle suddette patologie. Tale considerevole risultato viene così ad imporre , come vedremo meglio oltre, anche una obbligata rivisitazione della singolare pregnanza che la mente veramente consapevole ricopre sia nella sfera della salute in generale che del cervello in particolare, indifferentemente dall’età anagrafica e biologica di volta in volta presa in esame. Questa nuova opportunità terapeutica, e non solo, è stata offerta da una originale modalità di far apprendere alla dimensione senziente del malato, una speciale conoscenza già denominata Psiconeuroanalisi. In essa si incarna principalmente un profondo e vasto teorema logico (nonché fisico-matematico) e di astrazione ricorsiva sulla realtà, che sapientemente ritradotto in parola dallo psiconeuroanalista e collocato magistralmente nel flusso di pensiero consapevole del paziente, viene a determinare nel malato di demenza una palese e progressiva dilatazione dello stato di coscienza, quindi di elazione della condizione di salute globale. Nel presente lavoro verranno infatti descritti, secondo l’attuale visione medico-scientifica, due casi clinici esemplari e pluriannuali di demenza di Alzheimer, con danno imponente alla materia cerebrale e corticale in particolare, ma soprattutto con le attese aberrazioni cognitive e neuropsichiatriche tipiche della malattia in questione. Con tali due casi, inoltre, si renderà alquanto palmare e definitiva la vittoria terapeutica sulla demenza in questione, poiché trattandosi di due stadi alquanto avanzati della malattia di Alzheimer, confermano perentoriamente la forza curativa insita nella conoscenza psiconeuroanalitica. Quindi assisteremo alla loro progressiva e avvincente riabilitazione somatopsichica e concomitante dimostrazione sia testistica che clinico-strumentale.

Domanda: Le demenze cosa sono e come si manifestano ?

Risposta: Le demenze rappresentano sicuramente l’espressione emblematica della neuropsichiatria in quanto malattie acquisite del cervello in cui la poliedrica psicopatologia correlata alla concomitante cerebropatia involutiva, esprime una sorta di de-differenziazione, cioè di cammino a ritroso fortemente caratterizzato da un declino progressivo delle capacità globali della persona. Esse rappresentano un gruppo eterogeneo e alquanto articolato di processi morbosi che per lunghi anni è rimasto in una sorta di limbo, ma con una progressiva inversione di tendenza a cominciare da circa 35-40 anni fa cioè da quando tale problematica è diventata una sorta di “piaga” non solo medica ma anche e soprattutto sociale. Anche se genericamente è accettabile non identificare tali patologie con l’età senile, e vero anche che la demenza è chiaramente più frequente nella terza età. Inoltre considerata l’importante crescita dell’aspettativa di vita realizzatasi negli ultimi tempi è naturale attendersi teoricamente l’attuale trend di frequenza della malattia. In verità la condizione odierna che vede crescere così vertiginosamente i nuovi casi di malattia e meglio comprensibile se nel novero vengono ad essere considerati anche i casi di istero-demenza, che dal punto di vista della Psiconeuroanalisi vengono intesi come una quota considerevole dell’intero problema.

Domanda: Come si giunge a diagnosticare la patologia della sindrome di demenza ?

Risposta: I due principali sistemi diagnostico-classificatori, l’ICD dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ed il DSM dell’American Psychiatric Association (APA), concordano largamente sui criteri diagnostici delle sindromi demenziali, essendo le differenze del tutto marginali.
Importante comunque è sottolineare che il quadro clinico delle sindromi demenziali si presenta alquanto ricco e sfaccettato per gran parte del decorso della patologia, mantenendo a lungo una discreta riserva intellettiva e di autonomia funzionale, seppur progressivamente decrescente, alquanto utile in un ottica clinico-terapeutica, come gli esempi di Psiconeuroanalisi della malattia di Alzheimer riportati in questo volume dimostreranno incontrovertibilmente al lettore. Inoltre i plurimi deficit che vengono presentati dall’insorgenza della patologia in poi, non hanno tutti a un tempo il medesimo indice di gravità e di avanzamento peggiorativo, rendendo ancora più poliedrico ed articolato ogni tipo di approccio, non solo terapeutico, alla malattia. L’inquadramento nosografico delle diverse forme di demenza è stato oggetto nel tempo a diverse revisioni. Esso ha il proprio momento fondamentale nell’anno 1907 quando Alois Alzheimer pubblicò in Germania la descrizione clinica e anatomopatologica di un caso di demenza a decorso rapidamente progressivo ed esito infausto in una donna di 51 anni col nome di Auguste D., che sebbene egli ne abbia riportato la diagnosi finale di “ disturbo mentale semplice”, comprese anche che il caso poteva rivestire una certa importanza scientifica, considerata sia l’età relativamente giovane della paziente sia la presenza di sintomi neuropsichiatrici tipici della malattia in età più avanzate. Tuttavia sino agli anni 70 del secolo scorso la classificazione convenzionale delle demenze rimase fondamentalmente quella del neuropsichiatra tedesco Kraepelin, contemporaneo di Alois Alzheimer, che le distinse sulla base dell’età di esordio in forme senili e presenili ed incluse in queste ultime la malattia di Alzheimer. Oggi la distinzione fondamentale delle demenze viene posta tra sindromi demenziali idiopatiche e sindromi a eziologia nota. Quindi sulla base del presunto meccanismo patogenetico abbiamo le forme cosidette degenerative, vascolari e da altre noxae (infezioni, traumi, di matrice neoplastica, genetica ecc.). Ed inoltre le forme degenerative sono a loro volta distinguibili in demenza tipo Alzheimer e non Alzheimer. La demenza di Alzheimer rappresenta il 50-60% circa di tutti i casi di demenza, quindi segue la demenza di tipo ichemico-vascolare con il 15-20%, ancora la demenza fronto-temporale con le sue varianti che copre circa il 2-9% delle demenze, e la cosiddetta demenza a corpi di lewy con la percentuale del 7-25% circa, infine sussistono altre forme comunque rare come ad esempio la degenerazione cortico-basale, la paralisi sopranucleare progressiva ecc. Più frequenti di quanto si pensasse in passato sono le cosiddette demenze miste, quelle in cui,cioè, vi è sovrapposizione fra demenza degenerativa, come la demenza di Alzheimer in particolare, e demenza vascolare; gli studi di neuropatologia e l’impiego di tecniche di brain imaging sempre più sofisticate hanno consentito di dimostrare l’esistenza di un’interazione e di una sinergia tra le due forme.

Domanda: Cosa è la malattia di Alzheimer?

Risposta: Comunque ora è bene rimarcare alcune verità sulla cosiddetta malattia di Alzheimer, onde meglio concepire il ruolo che ad essa dobbiamo attribuire sotto il profilo nosografico e quindi eziologico nonché socio-culturale. Infatti la malattia in questione, che i più hanno da sempre sentito parlare come di una vera patologia, in realtà non può essere differenziata in alcun modo dal fisiologico invecchiamento cerebrale, dal momento che le note caratteristiche neuro-biologiche che la dovrebbero definire sono frequentemente rinvenibili anche nella normale senescenza. Perciò considerata la mancanza di un ben determinato profilo neuro-eziopatogenetico dell’AD, ogni diagnosi clinica assume unicamente il valore di essere “probabile” e neanche l’esame autoptico sarà veramente dirimente nei confronti di quei cervelli invecchiati con e senza evidenze della malattia. In altri termini si vuole prospettare la dimensione fenomenica dell’AD, con la propria attuale incalzante impennata numerica, interamente inerente alla condizione di generale invecchiamento della popolazione mondiale, interpretando la cosiddetta demenza di Alzheimer come una sorta di passaggio al limite ovvero di stato protratto da importante invecchiamento encefalico, indifferentemente dall’età anagrafica del demente in esame. Vista sotto questa prospettiva lo studio dell’AD rappresenta in realtà una sfida contro gli effetti che l’avanzare del tempo determina sul cervello, cioè, detto diversamente, un tentativo scientifico di rallentare quanto possibile se non addirittura vincere il deterioramento età-correlato della materia biologica, segnatamente cerebrale. Ebbene sì, tale conquista scientifica è quella che prospettiamo nella presente opera, in cui per la prima volta si è arrivati alla saliente evidenza di plenaria rivitalizzazione encefalica anti-AD, quindi anti-decadimento cerebrale senile. Quindi ribadiamo, come sarà esemplificato meglio oltre, che la demenza di Alzheimer non rappresenta in realtà una specifica patologia cerebrale irrelata dalla senescenza, la diagnosi di certezza non è fattibile né in vita né dopo la morte, ed inoltre configura una naturale involuzione età dipendente dell’organo del pensiero, con importanti differenze sia inter-soggettive che intra-soggettive. Quanto appena detto per l’AD vale ugualmente per il cosiddetto e mal definibile Mild Cognitive Impairment (MCI) cioè il presunto precursore della demenza di Alzheimer che si colloca lungo il continuum tra la normale senescenza e l’AD. Ancora, quando segni clinici di decadimento cognitivo sono rinvenibili in individui anagraficamente giovani, va detto che prima di stabilire, ad esempio, una diagnosi di AD-probabile sarebbe utile prendere in considerazione anche la frequente patografia definita dal sottoscritto Istero-Demenza, la quale oltre ad essere relativamente indipendente dall’età, risulta essere, secondo il sottoscritto, neurologicamente preferibile come inquadramento diagnostico. Quindi, concludendo, considerata la saliente importanza conferita al fattore età nel rischio di “ammalarsi” di demenza di Alzheimer, e utile sottolineare, per converso, il ruolo protettivo che invece riveste una dotazione in vitalità psicofisica espressa da un eu-tono metabolico individuale, in cui oltre ai fattori genetici in senso lato concorrono anche elementi più controllabili, come ad esempio lo stile di vita, ecc.

Domanda: Cosa dobbiamo aspettarci dal nostro immediato e prossimo futuro ?

Risposta: Generalmente è accettato che le demenze che insorgono dopo i 65 anni siano rappresentate per il 55% dalla demenza di Alzheimer (AD), per il 20% dalla demenza vascolare (DV), e per il 20% da forme miste (AD/DV). Mentre il restante 5% da forme ad eziologia diversa. (Cassano G.B., Pancheri P., Pavan L. et al. 1999) . Si stima che nel 2030 in numero degli anziani varcherà la soglia di 1,3 miliardi, con un aumento dell’80%. Nei paesi industrializzati tale percentuale avrà un incremento del 76%, attestandosi così attorno ai 358 milioni, mentre nei paesi in via di sviluppo si verificherà un incremento ancora più consistente, del 250%, raggiungendo pertanto il miliardo (The World Bank,1993). Ricerche condotte in diversi paesi industrializzati dimostrano che i dati sono comparabili e che sussiste una crescita pressoché esponenziale della prevalenza della malattia di Alzheimer nella fascia di età compresa fra i 65 e gli 85 anni. La Banca mondiale e l’Organizzazione mondiale della sanità hanno calcolato le ricadute disastrose di tale fenomeno sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza delle demenze mediante il DALY (Disability-Adjusted life Year), cioè un indicatore idoneo per valutare il novero degli anni di vita attiva persi a causa di morte prematura e disabilità. Il peso socio-economico delle demenze è stato stimato per la popolazione mondiale in 14 milioni di DALY. La malattia di Alzheimer risulta essere in costante aumento a causa dell’invecchiamento delle popolazioni, fenomeno che rappresenta una delle principali emergenze dei diversi sistemi sanitari mondiali. L’età è il fattore di rischio più saliente dell’Alzheimer. La malattia esordisce solitamente durante l’adolescenza. Si rileva una maggiore prevalenza tra le donne rispetto agli uomini, e tra gli strati sociali più poveri e meno istruiti. Inoltre i famigliari di primo grado, di sesso femminile, hanno un rischio da 8 a 10 volte maggiore di ammalarsi rispetto alla popolazione generale, mentre tra i famigliari di primo grado di sesso maschile è stato rilevato un rischio elevato per alcolismo e personalità sociopatica (Giovanni B. Cassano, 1994). Fattori genetici, come condizioni socio-economiche deficitarie e uno scarso livello culturale, sembrano svolgere un ruolo importante nella traslazione dei vissuti interiori, dal registro mentale al registro somatico, sotto forma di alterazioni corporee. La presenza di sintomi fisici, o malattie di varia natura in altri membri della famiglia è un altro fattore predisponente da considerare, che agirebbe per identificazione o imitazione (identificazione isterica), oppure, spesso, i sintomi interessano aree somatiche che in precedenza sono state colpite da una “vera” malattia fisica (predisposizione somatica). Una particolare importanza scatenante sembrano rivestire eventi di violento stress acuto, quale per esempio la perdita di una persona a cui il paziente era particolarmente legato, spesso in maniera ambivalente (Giovanni B. Cassano, 1994). Attualmente, in ambito scientifico, i fenomeni psicobiologici coinvolti nella sintomatologia isterica non sono ancora del tutto chiari. In ogni caso, sono state suggerite diverse interpretazioni, che non devono essere intese come mutuamente esclusive ma come possibili fattori che potrebbero interagire tra di loro contribuendo in varia misura all’esordio e/o al mantenimento nel tempo della sintomatologia (Laura Bellodi, 2005).

Domanda: Si legge da più parti e si ha modo di sentire in televisione il termine “Alexitimia”, può spiegarci cosa è ?

Risposta: II termine alexitimia (dal greco alexis, mancanza di parole, e thimos, emozione) si riferisce a un’anomala regolazione dei processi emotivi. Pur non essendoci un accordo generale sulla sua definizione, essa può essere descritta da alcune principali caratteristiche, variamente espresse nei diversi soggetti:
A) una riduzione o un’incapacità di sentire le emozioni;
B) una difficoltà nell’identificare le emozioni;
C) una riduzione o un’incapacità di verbalizzare le emozioni;
D) una scarsa tendenza a pensare alle proprie emozioni.
 La presenza di alexitimia è stata descritta nei soggetti isterici. Alla base dell’alexitimia sono state ipotizzate diverse possibili disfunzioni neurobiologiche, indagate attraverso alcuni studi sperimentali su soggetti che presentavano caratteristiche alexitimiche e su soggetti con diverse lesioni neurologiche:
1) un deficit della comunicazione tra i due emisferi cerebrali per un anomalo funzionamento del corpo calloso;
2) un deficit nel funzionamento dell’emisfero destro, secondo la visione classica che lo ritiene la sede principale dell’elaborazione emotiva;
3) un deficit nell’integrazione delle funzioni delle cortecce anteriori del cingolo e delle cortecce orbito frontali, secondo l’ipotesi più recente che entrambi gli emisferi, e in particolare le cortecce frontali, siano coinvolti nella modulazione dei processi emotivi e motivazionali, con una prevalenza dell’emisfero destro nell’elaborazione delle emozioni negative e dei comportamenti di allontanamento/ritiro e del sinistro per le emozioni positive e i comportamenti di avvicinamento/approccio.
Tenendo conto che queste sono solo ipotesi in corso di studio, si potrebbe in ogni caso supporre che un’anomala integrazione dei processi coinvolti nell’elaborazione emotiva, nella comprensione cosciente della stessa, del suo significato e del contesto in cui essa avviene, possa far sì che il soggetto sperimenti solo una parte dell’esperienza emotiva, cioè l’espressione corporea. Pertanto, le risposte corporee continuerebbero ad attivarsi nei diversi contesti in cui l’individuo si trova, ma la mancanza di una corretta elaborazione superiore ostacolerebbe il processo di integrazione delle manifestazioni corporee in un’esperienza più complessa, necessaria per una corretta interpretazione di ciò che ha innescato il processo e per la creazione di strategie adeguate di risposta. Il deficit di elaborazione potrebbe anche amplificare i segnali corporei, poiché la scarsa comprensione emotiva cosciente ostacolerebbe le risposte corporee e comportamentali finalizzate, che normalmente sono messe in atto per far fronte a una situazione e si estinguono dopo che la loro funzione è stata svolta: nei soggetti isterici con somatizzazione tali risposte potrebbero essere disfunzionali, con una persistente attivazione corporea afinalistica e non contestualizzata. Fenomeni di sensibilizzazione, legati allo stato di malessere e arousal alimentato dalla continua presenza dei sintomi corporei, potrebbero poi contribuire al mantenimento nel tempo, e all’aumento di intensità, dei sintomi stessi.

Domanda: Quale è il suo metodo di analisi e poi di diagnosi ?

Risposta: II passo da compiere per primo, come accennato sopra, è quello di escludere vera malattia fisica (anamnesi approfondita, visita medica accurata, esami bioumorali, esami strumentali ecc.). Colloquio clinico approfondito onde indagare i rapporti del paziente con persone che presentano sintomi analoghi (identificazione isterica), come pure precedenti manifestazioni somatiche in corrispondenza delle aree interessate dalle reazioni di conversione (predisposizione somatica). Il rilievo della “belle indifférence” è un importante reperto pur non essendo un parametro di affidabilità assoluta per la diagnosi (compare solamente in un terzo dei casi, e inoltre è rinvenibile in altre patologie, come per esempio la SM).  MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) o altro reattivo equipollente per l’identificazione del carattere o personalità isterica. Criteri Diagnostici del DSM IV (vedi tabelle pagina _) (Giovanni B. Cassano, 1994). Preliminare a ogni intervento terapeutico dovrebbero essere la comprensione e il chiarimento (anche per il paziente) del rapporto intercorrente tra fattori endopsichici conflittuali e sintomi osservati ed espressi, ricordando, ancora una volta, che la psicoanalisi è nata dallo studio interpretativo e dalla cura dell’isteria da parte di Freud.
Quindi, il trattamento psicoanalitico viene indicato, ancora oggi, il mezzo elettivo nel cercare di modificare gli aspetti conflittuali, inconsci, implicati nella genesi della sintomatologia isterica (specialmente conversione e dissociazione psichica). L’impiego dell’ipnosi è stato da alcuni consigliato, come l’uso di metodi direttivi-suggestivi: la scelta comunque del tipo di intervento dipende, in senso lato, sia dalle caratteristiche cliniche presentate dal paziente, sia dal tipo di formazione specialistica del medico. In linea generale è bene evitare o limitare nel tempo l’uso di psicofarmaci, salvo la presenza di altri disturbi associati o concomitanti, soprattutto per il rischio di dipendenza o di condotte suicidarie. Fanno eccezione l’uso di benzodiazepine in fase acuta (Giberti F. Rossi R., 1996).

Domanda: Può illustrarci un caso di rilevante importanza che possa aiutarci a comprendere che dalla demenza, compresa quella di Alzheimer, si può, se non guarire, migliorare la propria vita ?

Risposta: Sir Random (questo è l’epiteto che utilizzeremo, per ovvi motivi di segretezza dell’identità del paziente) è un uomo di circa anni 40, licenza media come livello di istruzione, coniugato, con un unico figlio in età adolescenziale, di professione mastro-muratore, veniva ricoverato presso la nostra Clinica Neurologica della città di Sassari per eseguire accertamenti in merito alla comparsa, da alcuni mesi (siamo nel marzo 2004), di un “blocco” in flessione dell’arto superiore destro, associato a importante sintomatologia algica, di tipo gravativo e non fluttuante, sia a carico del braccio suddetto, sia all’emitorace omolaterale, alla regione cervicale e in sede sacrale ( quest’ultima sede con dolore di tipo urente-puntorio). Presentava inoltre un soggettivo deficit del visus, descritto dal paziente stesso come la sensazione di trovarsi immerso nella nebbia, e uno stato di “stordimento” psichico. Il tutto sarebbe insorto nel mentre guidava un autocarro, dopo aver starnutito violentemente per circa tre volte consecutive. Indirizzatosi un primo momento al Pronto Soccorso dell’Ospedale più prossimo alla propria ubicazione, gli veniva prescritta terapia con antidolorifici-antifiammatori (FANS), con la quale si conseguiva una riduzione della sintomatologia algica, sia all’emitorace destro sia all’arto “bloccato”, mentre persisteva invariata sia a livello nucale che sacrale. Quindi, stante la rimanente componente algica, eseguiva ecocolor-Doppler della spalla destra e degli arti superiori, risultati comunque nella norma. Inoltre, è bene segnalare che alcuni mesi prima del ricovero presso la nostra clinica, in seguito alla comparsa di epigastralgia, veniva ricoverato nei reparti della Medicina interna dell’Ospedale Civile, sempre della città di Sassari, ove eseguiva accertamenti diagnostici Il paziente veniva dimesso con la seguente diagnosi: malattia da reflusso gastro-esofageo, gastropatia erosiva, spondilo-artrosi cervico-dorsale e sinusite cronica. Durante il colloquio clinico presso la nostra struttura, all’anamnesi familiare e fisiologica non emergeva alcun indizio degno di nota.  All’anamnesi patologica remota invece si rilevava: un’allergia per parietaria e assenzio selvatico insorta dall’adolescenza; storia di emicrania destra, senza aura, da alcuni anni e cefalea a casco dall’adolescenza; tonsillectomia e adenoctomia all’età di 5 anni; frattura costale sinistra (tre coste), per incidente occorso sul posto di lavoro nel 1997; un intervento per una cisti tendinea, a livello del polso della mano destra, eseguito due anni prima e, sempre dallo stesso periodo, frequenti momenti di “intorpidimento” (di solito dopo l’uso di utensili da lavoro, come scalpello, picco elettrico ecc.), a carico della mano destra (specialmente 5°, 4° e 3°dito), con risoluzione sintomatologica circa quindici minuti dopo aver interrotto l’attività fisica in corso. In diverse occasioni, comunque, la mano si mantenne chiusa a pugno, per tempi di crescente durata, e con sempre maggiore difficoltà assumeva la fisiologica postura. Dopo circa un anno tali episodi accrebbero sempre più in frequenza e durata, con estensione sempre più prossimale dell’intorpidimento su menzionato. All’esame neurologico obiettivo si rilevavano i seguenti aspetti patologici:
  Paziente vigile, collaborante e apparentemente orientato in spazio, tempo e persona. Assenza di turbe fasiche, prassiche, gnosiche e mnesiche. Non falsi riconoscimenti. Povertà espressiva.
 Articolazione verbale: indenne.
 Capo: normoconformato. Non dolenti né dolorabili alla digitopressione i punti di emergenza dei nervi cranici. Mimica facciale povera. Globi oculari in asse; rime palpebrali simmetriche.
 Pupille: isocoriche, isocicliche e normoreagenti alla fotostimolazione diretta e consensuale, accomodazione e convergenza.
 Motilità oculare estrinseca: nella norma. Non diplopia o nistagmo.
 Campo visivo: apparentemente indenne alle prove bimanuali di confronto.
 V nervo cranico: riduzione sensibilità tattile-termica-dolorifica emivolto di destra (e capo omolaterale).
 VII nervo cranico statico e dinamico: indenne.
 Collo: atteggiamento lievemente in flessione; rigidità nei movimenti latero-laterali e antero-posteriori.
 Arti superiori: atteggiamento distonico in flessione dell’arto superiore destro e delle dita, con lieve incremento del tono muscolare e segno della ruota dentata al gomito e al polso, sempre a carico dell’arto superiore destro. Si nota che occasionalmente tale ipertono si riduce. Mano destra pallida, fredda e gonfia rispetto alla controlaterale.
 Non slivellamento alle prove antigravitarie. Alle prove contro resistenza, deficit segmentarlo 4/5 a carico dell’estremità distale, più coinvolta della prossimale, dell’arto superiore destro (interossei e adduttore pollice e del quinto dito).
 Riflessi propriocettivi: vivaci ma simmetrici.
 Arti inferiori: tono, forza e trofismo nella norma. Non slivellamenti alle prove antigravitarie.
 Sensibilità tattile, termica e dolorifica: lieve riduzione della sensibilità tattile-termica-dolorifica facio-brachio-crurale destra (inoltre il paziente riferiva parestesie di tipo urente a carico di tutto il dorso, specialmente regione sacrale, collo escluso, da C4-D12).
 Riflessi esterocettivi: addominali presenti a destra, ipoevocabili a sinistra; plantar cutaneo in flessione bilateralmente.
 Prove cerebellari, indice-naso e tallone-ginocchio correttamente eseguite.
 Stazione eretta, mantenuta senza appoggio.
 Deambulazione: salvo l’atteggiamento in flessione dell’arto superiore destro, priva di note patologiche.

Domanda: Ci può riassumere l' analisi clinica che Lei ha fatto ?

Risposta:
 Povertà espressiva generale.
 Impoverimento della mimica facciale.
 Alle prove contro resistenza, deficit stenico segmentario 4/5, con estremità distale più coinvolta della prossimale, a carico dell’arto superiore destro (muscoli interossei e adduttore del pollice e del quinto dito).
 Riduzione della sensibilità tattile, termica e dolorifica facio-brachio-crurale emisoma di destra (capo omolaterale compreso). Il paziente riferiva inoltre parestesie urenti a carico dell’intero dorso, specialmente in regione sacrale, collo escluso (da C4 a DI2).
 Atteggiamento di modica flessione a carico del collo, con rigidità nei movimenti latero-laterali e antero-posteriori.
 Lieve incremento del tono muscolare (ipertonia) e atteggiamento distonico in flessione, a livello del gomito, del polso e delle dita, con troclea dell’arto superiore destro, con occasionali riduzioni spontanee e mano omolaterale pallida, fredda ed enfia rispetto alla controlaterale. Quindi, stante il complessivo quadro anamnestico e l’obiettività neurologia su menzionati, furono proposte, inizialmente, differenti ipotesi diagnostiche nosograficamente atte ad includere i vari reperti su esposti; quali: malattia di Parkinson, distonia di matrice organica, lesioni dei gangli della base come per esempio nella malattia di Wilson, malformazioni vascolari in punti strategici dell’encefalo, neoplasie specialmente del lobo frontale, sofferenza del midollo cervicale di qualunque origine, e in conclusione, il flebile sospetto di una forma psicogena. Tra le formulazioni diagnostiche su elencate (J. Cambier, M. Masson, H. DeHen e presentazione di Salvatore Smirne 2000) quelle valutate e considerate come più plausibili sono state: (A) il morbo di Parkinson, (B) il morbo di Wilson e (C) la distonia.

Domanda: Cosa accade una volta terminata tutta la trafila presso la Clinica Neurologica di Sassari ?

Risposta: Quindi, una volta conclusosi l’iter diagnostico ospedaliero presso la Clinica Neurologica di Sassari, il caso in questione, ancora interamente incompreso, venne seguito ambulatorialmente, mediante periodiche visite di controllo. Ma nell’arco di circa tre anni, durante i quali vi fu una sensibile recrudescenza della sintomatologia, e molto probabilmente anche del quadro patologico mostrato dalla Spect di perfusione cerebrale, fecero comparsa altri e nuovi singolari disturbi (come una ipoacusia bilaterale, con sensazione di liquidi caldi e caustici che riempivano il canale auricolare, e lo obbligavano, per esempio, ad ascoltare la TV con volume audio sostenuto tanto da determinare facili alterchi coniugali; derealizzazione temporale, con serie difficoltà nello stabilire, anche in modo approssimativo, il trascorrere delle ore, sino a configurarsi la situazione di non saper designare il momento della giornata in cui veniva a trovarsi e confondere, per esempio, le prime ore della mattina con il pomeriggio inoltrato, e cosi via; flessione delle facoltà mnesiche, sia per i fatti più futili, sia per le incombenze di maggiore serietà, con incredulità e disappunto personale di fronte alle lamentele, sempre più numerose, degli altri; inclinazione coatta, sia personale che pretesa ai famigliari, all’ordine e alla pulizia della propria abitazione, con tensioni e frequenti intolleranze parentali; apnee notturne incoercibili: “che sarebbero insorte già alcuni anni prima della distonia a carico dell’arto superiore destro, anche se inizialmente risultassero meno frequenti e d’intensità più blanda”, di uno-due episodi per notte, per tutti i giorni della settimana, tanto da determinare un sonno notturno ad andamento intermittente, e perciò con un insufficiente numero di ore di riposo e costante sonnolenza diurna; sensazione penosa di arti inferiori deboli e pesanti, con la concomitanza di intensi dolori peri-inguinali e alla radice degli arti inferiori stessi, e seguente riverbero,sempre del dolore, distalmente, dopo aver fatto anche una semplice passeggiata, il quale regrediva unicamente con l’assoluto riposo), per i quali vennero consigliati e tentati alcuni approcci, per lo più di tipo palliativo, come la fisioterapia, l’agopuntura, l’uso di farmaci antidepressivi, la ginnastica finalizzata al problema, nonché dei trattamenti di tipo omeopatico e quant’altro, e su iniziativa della famiglia stessa, addirittura, quelli esorcistico-suggestivi, comunque senza ottenere alcun apprezzabile beneficio. Venne proposto persino l’uso della tossina botulinica, ma il paziente stesso, apprendendo l’effetto limitato nel tempo della sostanza, i potenziali effetti indesiderati e la non garantita guarigione dal disturbo distonico, preferì non sottoporsi a tale trattamento.

Domanda: Quindi? Cosa fu deciso di fare per questo paziente?

Risposta: Dietro consiglio della Dott.ssa D’Onofrio Marinella, medico afferente alla Clinica Neurologica di Sassari, maturò anche l’idea di rivolgersi, per un ulteriore approfondimento ed eventuale terapia, ad un rinomato Istituto italiano di prim’ordine e di prestigio internazionale nelle patologie del sistema nervoso, dove, una volta recatosi il paziente con la propria consorte, due medici neurologi, in seguito a una accurata visita neurologica e dopo aver visionato la documentazione che raccoglieva il ricco iter clinico-ospedaliero eseguito dal Sir Random sino a quel momento, dichiararono, senza mezzi termini, la loro totale impotenza teorico-terapeutica, riguardo al problema prospettatogli. D’ora in poi il paziente cominciò, come ribadì più volte durante la raccolta anamnestica, a perdere sempre di più la speranza e cadere in uno stato di scoramento e di profonda sfiducia, sia nei confronti del prossimo, del quale si è trovato più volte a subirne le allusioni e le canzonature, sia della medicina e dei suoi rappresentanti, che non hanno saputo dare sufficiente attenzione alla propria vicenda umana, ma, al contrario, gli veniva ribadito che la sua fosse solamente una patologia “immaginaria” e occorreva levarsela dalla testa.

Domanda: Cosa accade successivamente e quali furono gli sviluppi ?

Risposta: L’incontro tra Sir Random e il sottoscritto avvenne nel marzo 2007, presso la Clinica Neurologica di Sassari, mediante intercessione della Dott.ssa D’Onofrio Marinella, il medico neurologo e neuropsicologo che in questi tre anni ha valutato periodicamente il contesto generale, e non solo clinico, del paziente con l’empatia e l’impegno richiesti e necessari per casi clinici di tale complessità. Al momento dell’incontro mi trovai di fronte un giovane uomo aitante, dall’aspetto alquanto sofferente, con lo sguardo atono e privo di qualsiasi traccia di perspicua intenzionalità, con capo e dorso lievemente flessi innanzi, palese egenza di gesticolazione spontanea e viso tendenzialmente figé. La deambulazione si dimostrava greve, lenta e forzata, nonostante la costituzione fisica sopra indicata, con vestiario, e presentazione del quadro complessivo, di tono decisamente dimesso. Il Sir Random non parlò da subito, quindi mi anticipai precisando sia la mia personale identità, sia il tipo di ruolo che avrei ricoperto durante il tempo della nostra collaborazione terapeutica, oltre, naturalmente, a quale sarebbe stato lo scopo principe dell’incontro. In particolare, dopo una delucidazione per sommi capi del perché di un doppio ricovero presso la nostra struttura, e delle difficoltà diagnostiche e terapeutiche che il problema da lui presentato poneva sia al medico che alla conoscenza sanitaria in senso lato, gli proposi, all’impronta, una chiara speranza di possibile guarigione, mediante una nuova metodica terapeutica, prettamente psicologica, usata dal sottoscritto già in altri casi di gravi sindromi da conversione, con pieno successo terapeutico, di cui avrebbe conosciuto i dettagli del percorso curativo man mano che la terapia sarebbe andata avanti. Il Sir Random, senza porre alcuna domanda, guardandomi fisso negli occhi, convenne da subito con quanto gli fu detto. Quindi, in primis, lo visitai con particolare attenzione e rilevai, gradualmente, i seguenti dati oggettivi:
 All’osservazione generale, si offriva uno stato di complessiva inibizione psicofisica con apparente distacco dal contesto, mentre, quando impegnato in atti motori, oltre a un netto mancinismo (vedi test di Edimburg pag. _), si apprezzava una generale goffaggine, lentezza e incertezza dei movimenti.
 Stato d’ansia (insorto con l’inizio della visita neurologica).
 Paziente vigile, ma titubante nell’orientamento temporale e nella rievocazione mnesica, sia recente che remota.
 Laconicità, quando parlava presentava tachifemia e disprosodia, con comparsa di momentanei farfugliamenti iterativi.
 Alogia, con frequente uso degli stessi termini concreti (datismo, analessi e concretismo).
 Deficit dell’attenzione sostenuta (ipoprosessia), con difficoltà nel recepire il significato di proverbi, proposizioni, locuzioni o vocaboli di agevole interpretazione.
 Chiaro deficit del pensiero astratto, con perdita della semantica e della logica intrinseca di comune dominio per quanto riguarda esempi di: enunciati logici, metafore, antonomasie, metonimie, adynaton, dialleli, sillogismi, litoti, induzioni, deduzioni ecc.
 Ipomimia: nelle rare espressioni facciali si apprezzava un’evidente tensione muscolare.
 Atteggiamento distonico dell’arto superiore destro, con ipertono parossistico a carico dei muscoli flessori, del deltoide e del trapezio omolaterali. Intrarotazione abnorme dell’avambraccio e flessione forzata del 5°, 4° e 3° dito, con paresi a carico di pollice e indice in tutte le direzioni, evidenziabile nei movimenti segmentali contro resistenza. Impossibilità di abduzione, rotazione e/o sollevamento dell’arto stesso verso l’alto. Al tentativo di estendere l’arto flesso, comparsa di scosse, tipo mioclonie, e intenso dolore che si irradiava prossimalmente sino a interessare il viso omolaterale; quindi comparsa di cefalea pulsante. Mano destra enfia, modicamente cianotica e madida di sudore rispetto alla controlaterale.
 Deficit della sensibilità tattile-termica-dolorifica dell’emisoma di destra, viso incluso. Riferiva intenso dolore urente, in sede sacrale, che s’inaspriva con lo stare allungo seduto e/o sdraiato sul dorso.
 Lieve flessione del collo in avanti e verso destra in ortostatismo, con rigidità e dolore nei movimenti antero-posteriori e latero-laterali.
 Riflessi vivaci agli arti inferiori, ma simmetrici.
 Babinski assente.
 Deficit dell’udito, evidenziato dal fatto che il Sir Random capiva le domande rivoltegli solamente con tono vocale sostenuto. Dichiarava di avvertire la presenza di un fluido caldo e caustico che riempiva i condotti uditivi, causandogli dolore e ipoacusia.
 Deficit del visus, saggiato con la prova della lettura, in cui il paziente riusciva a stento, chinandosi in avanti quasi sino a toccare lo scritto con il viso: inoltre lamentava, in tutte le direzioni di sguardo, visione sfocata con doppio contorno scuro degli oggetti percepiti.
 In stazione eretta, atteggiamento lievemente camptocormico.
 Deambulazione lenta, forzata e “caricaturale”, come se stesse passeggiando con gli arti inferiori immersi nell’acqua.
 

Domanda: Volevo domand....

“Si fermi Fadda, possiamo continuare qualche altro giorno?”
Mi chiede con gentilezza e fermezza. Interrompiamo l' intervista lasciandoci con l' impegno di un prossimo incontro per completare sino in fondo il racconto delle sue esperienze e per soddisfare la legittima curiosità di quanti intendono capire come effettivamente funziona la Psiconeuroanalisi e quale sia ilsuo metodo di lavoro e di indagine medica. Mi accompagna sino al corridoio dell' ingresso, a destra c'è il soggiorno, non vuole o non può affacciarsi alla porta. Con gli arresti domiciliari non si scherza.
-”Alla prossima Dott. Dore“
-” Si, alla prossima”.

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